CACCIA AL TESORO PER RISCOPRIRE LE NOSTRE ORIGINI CULTURALI
Il Chiostro di Sant’Eufemia ospiterà dal 30 maggio al 10 giugno il progetto IN CHIOSTRO VIVO. Tramite la conoscenza dell’ingegner Alberto Maria Sartori, approfondiamo la storia e il vissuto di una delle più antiche chiese di Verona
Sant’Eufemia ha in lei un parrocchiano illustre, ci può spiegare il suo ruolo all’interno della chiesa di Sant’Eufemia?
Non sono un parrocchiano illustre ma solo un parrocchiano appassionato della sua chiesa e della storia che la pervade. Ho avuto modo di occuparmene in modo professionale fino a conoscerne i segreti, gli angoli nascosti e molte storie ormai dimenticate. Attualmente collaboro con il parroco per la gestione strutturale ed amministrativa.
Il nostro progetto IN CHIOSTRO VIVO punta a far rivivere il Chiostro adiacente, mi potrebbe dire a che epoca risale?
Il Chiostro risale, secondo le attribuzioni correnti, ai primi anni del 1600. Alcuni affermano sia di scuola sanmicheliana, altri lo attribuiscono a Domenico Curtoni (nipote di Sanmicheli) o a Lelio Pellesina, ma non vi è certezza circa l’autore, che fu comunque un maestro.
Tutti questi ambienti, che ospitano le varie associazioni impegnate nel progetto, erano dei monaci Agostiniani. Che rapporto c’è tra la loro storia e la costruzione della chiesa di S. Eufemia e del Chiostro adiacente? Che funzione aveva il Chiostro e a che cosa veniva adibito?
La chiesa risale presumibilmente al settimo secolo, ma era molto più piccola. Il progetto di ampliamento risale al periodo successivo all’insediamento dei monaci Agostiniani (1261). Tali monaci erano per vocazione Eremitani, ma ritennero necessario insediarsi in città per avere una presenza pubblica, sia pure in una zona defilata. La Chiesa venne riedificata nel 1300 e fu ultimata nei primi decenni del 1400 (sul portale vi è la data MCCCCLVII). Il chiostro venne edificato nell’ambito del convento, in quanto era una delle sue caratteristiche fondamentali, perché consentiva ai frati di passeggiare e meditare senza uscire per strada e senza essere disturbati dalla pioggia o dal sole infuocato. Normalmente nei conventi vi erano almeno tre chiostri, uno per i novizi, dove i ragazzi potevano giocare e schiamazzare, uno per i frati, dedicato alla meditazione e uno più aperto anche al pubblico ed agli ospiti. Il “nostro” chiostro, prossimo all’ingresso, era certamente di uso pubblico, anche in quanto destinato ad ospitare sepolture di famiglie illustri (ad esempio i Caliari). Aggiungo, inoltre, che i chiostri avevano anche la funzione, molto pratica, di ospitare al centro grandi cisterne in cui si raccoglieva l’acqua piovana che veniva prelevata dal pozzo centrale, dopo essere stata depurata con intelligenti sistemi naturali. Lo schema è quello della casa romana, con l’atrium e l’impluvium, in cui convergeva l’acqua dei tetti circostanti.
Da chi veniva frequentata questa chiesa in riva all’Adige?
La chiesa era frequentata dai membri delle Arti che si esercitavano in prossimità della stessa: i lanaroli (il quartiere della lana iniziava da via Emilei verso l’attuale via Diaz e vi è ancora una pecorella applicata al muro per ricordarlo). Poi vi erano i falegnami e i lavoratori del legno, in quanto il lungadige era popolato da segherie (il rione si chiamava “della carega” per buon motivo). Come per tutte le grandi chiese cittadine, le famiglie potenti facevano a gara per avere qui il sepolcro, in modo da far guadagnare indulgenze e messe a suffragio dei loro defunti. In particolare vi erano molti studiosi, in quanto a Sant’Eufemia era presente una delle più ricche biblioteche di Verona, con uno scriptorium famoso.
Qual è l’origine della struttura monacale degli Agostiniani e come si è evoluta fino ai giorni nostri? Cos’è cambiato? Che fine hanno fatto?
Innanzitutto gli Agostiniani non erano monaci ma frati: c’è una certa differenza. Anticamente vi erano tre regole per la vita consacrata: la regola di San Benedetto (monastica, riassunta dal famoso ora et labora) la regola di San Basilio (monastica ma con atteggiamenti di carità verso i poveri) e di Sant’Agostino, in cui veniva prevista la vita in comune di preghiera e carità, sul modello degli Apostoli. Nel 1200 i Papi spinsero le varie comunità Agostiniane, originariamente non coordinate tra loro, a fondersi in un Ordine unico, con un superiore generale, che facesse da riferimento con l’autorità ecclesiastica. Fondarono conventi che furono anche molto grandi e frequentati, lasciando sempre che alcuni dei loro frati potessero fare esperienze di vita eremitica o quasi, potendo comunque rientrare nel convento dopo un periodo di preghiera ed isolamento. Nelle zone occupate da Napoleone gli ordini religiosi furono soppressi, ma poi si ricostituirono. Spesso non poterono rioccupare i vecchi conventi in quanto erano stati espropriati ed utilizzati per scopi civili. Il convento di Sant’Eufemia, depredato di tutte le sue opere e della biblioteca, divenne sede degli uffici pubblici di Verona, poi scuola. L’Ordine Agostiniano è comunque ancora presente in varie città con i suoi conventi.
Potrebbe spiegarci brevemente cos’è un convento, qual era la sua funzione nella società di un tempo e cos’è cambiato fino giorni nostri?
Ovviamente il convento non era solo la residenza di un certo numero di frati, conversi ed accoliti, ma soprattutto, in un periodo in cui non esistevano le scuole come le consideriamo oggi, erano un centro culturale. Possedevano biblioteche, sale di studio, ospitavano studiosi di varia provenienza ed accoglievano giovani, sia gratuite che a pagamento, per dare un’istruzione. Dopo qualche tempo i giovani o decidevano di restare e si facevano frati, o uscivano. Più anni avevano trascorso in convento e migliore era l’istruzione. I conventi erano anche un centro economico: i frati avevano fatto il voto di povertà, quindi ricevevano, senza esserne proprietari, le campagne di nobili o signori, che si dedicavano alla guerra o al commercio, e coltivavano i campi pagando un affitto (Livello); davano da lavorare ai contadini, commercializzavano le merci e reinvestivano i capitali. La Repubblica di Venezia forniva ai conventi territori incolti, che i conventi mettevano a reddito e poi la Repubblica li vendeva quando aveva bisogno di soldi. Da ultimo erano centri di vita artistica ed imprenditoriale ed intorno a loro ruotavano capomastri, pittori, scultori, falegnami e musici. Quando le famiglie ricche andavano a messa vedevano i lavori degli artisti e potevano decidere di chiamarli per decorare le loro case. Le chiese erano una sorta di esposizione permanente. Per questo spesso si vedono pitture eseguite sopra altre: i giovani artisti si dovevano mostrare, mentre i vecchi, già deceduti, non avevano più bisogno di clienti. Tutto questo mondo cessò con Napoleone, che passò rubando e distruggendo. Cacciò i frati dai conventi, rubò gli arredi sacri per toglierne i materiali preziosi, spogliò le biblioteche, vendette le chiese ad uso di stalle o magazzini. Il convento di Sant’Eufemia fu destinato ad ospedale militare, dopo che i soldati francesi avevano rubato di tutto.
Il Progetto “IN CHIOSTRO VIVO” mira a sensibilizzare gli studenti all’arte. Che valore può avere per le nuove generazioni la caccia al tesoro che si svolgerà nella chiesa di Sant’Eufemia? Quali opere d’arte potranno ricercare giocando?
Credo che i giovani debbano riavvicinarsi agli edifici storici, per leggerne le testimonianze che la società contemporanea tende a far dimenticare o trascurare in quanto i modelli sono spesso basati su cartoni animati di origine giapponese, che non veicolano messaggi a noi familiari. Tanto per fare un confronto è culturalmente molto più importante e significativo Topolino, che ambienta sempre le sue avventure in un contesto europeo o di cultura occidentale in cui, anche se alla lontana, sono presenti elementi di storia della civiltà. La caccia al tesoro può essere un modo per riscoprire elementi poco noti ed invogliare alla ricerca degli stessi anche in altri contesti: in tal modo si rende percepibile qualche segno delle nostre radici culturali. Tutti i segni debbono essere riscoperti, perché, diversamente, si trasformano in muti ornamenti. L’arte classica, invece, è tessuta da simboli che raffigurano concetti ed idee, non è mai gratuitamente decorativa; tutto ha un senso ed una connessione.
Cosa pensa del progetto “IN CHIOSTRO VIVO”? Che valore può avere per i parrocchiani delle generazioni non più giovani?
I parrocchiani più maturi possono trasmettere la loro lettura dei simboli e la loro esperienza sensibile. Per questo motivo sono molto interessato al progetto, in quanto consente la reintroduzione simpatica e gioiosa dei ragazzi in ambienti che spesso non frequentano solo per ignoranza o per timore reverenziale dovuto ad un ambiente che non è di facile lettura.
di Maria Tomasi