I PROMESSI SPOSI, AVVENTURA DI UN GIOVANE LETTORE: MINI SAGGIO a cura di Emilio Boaretto
A pochi giorni dal termine della rappresentazione dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni per parte dell’Accademia lirica di Verona (A.LI.VE.), presso il Teatro Ristori, ritengo sia giusto sottolineare la grandissima performance tenuta da tutti i ragazzi che hanno preso parte a questa piacevolissima messinscena. Certo i giovani attori hanno avuto grande merito, ma è stato magistrale il lavoro sul testo condotto dalle registe Silvia Masotti e Camilla Zorzi.
La leggerezza con cui sono stati presi e riadattati in chiave moderna i grandi temi del romanzo ha fatto sì che tutto abbia funzionato a meraviglia. È opportuno sottolineare che leggerezza non significa superficialità, anzi: le due registe hanno percorso parallelamente la via scelta da Manzoni che già prevedeva scelte linguistiche e tematiche semplici, vicine alla quotidianità, in direzione di una maggiore fruibilità del testo. Il celebre motto manzoniano “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo” è stato perfettamente adattato alla rilettura attualizzante dell’opera.
Il Lettore – a cui Manzoni si rivolge durante tutto lo svolgimento della vicenda – è diventato il protagonista principale facendosi portatore delle idee e degli stereotipi con cui i giovani d’oggi si approcciano al romanzo. Smussando gli angoli paternalistici dell’opera, Masotti e Zorzi hanno voluto dare più spessore all’impegno della contestazione giovanile maturato già negli anni ’60 -’70 e poi purtroppo affievolitosi con il boom economico e lo strapotere del consumismo di massa.
I giovani attori – dapprima spettatori passivi delle vicende e poi di fatto protagonisti attivi delle stesse – lanciano una decisa provocazione ad un mondo che ha lasciato enormi responsabilità sulle loro spalle. Un po’ come Sisifo i giovani d’oggi sono costretti a scalare la piramide sociale portandosi appresso gli errori commessi dall’egoismo dei propri predecessori, ma al momento in cui sembra che la vetta sia raggiunta, si vedono ricacciati in basso dalle pesanti critiche che arrivano da ogni parte e che alimentano il carico della loro impresa. La classe giovanile sta subendo le conseguenze della società consumistica; l’edonismo socio-economico ha portato ad un’inversione di tendenza che stimola l’egoismo dei singoli, la voglia di apparire, di essere qualcuno a tutti i costi a scapito di chi – per disinteresse o per malasorte – non ha questa possibilità.
Gli attori che cantano “Sciur padrun da li beli braghi bianchi” sono supportati dalla voce fuori dal coro di Linda Micheletti: il suo tono di protesta si pone contemporaneamente di traverso al cantato del gruppo, ma affianco alla richiesta comune di rispetto dei propri diritti. La scena sembra voler rimandare proprio a quel movimento studentesco che qualche decennio fa si batteva nelle piazze di tutto il mondo per la realizzazione dei propri ideali.
Il fondo di attualità che emerge dalla rilettura delle registe porta a galla temi di grande rilevanza già presenti in parte nell’opera. L’Addio ai Monti rimanda certamente al travaglio dell’emigrazione e al tragico esodo che il mondo africano tutt’ora sta vivendo. Andando oltre questo aspetto ormai caduto nel pressapochismo mediatico, vengono chiamati in causa tutti quei ragazzi che decidono di partire per cercare fortuna all’estero, perché la realtà italiana (in questo caso, ma non unico) pare non aver più nulla da offrire, e ciò che sembra accessibile è deturpato da insidie burocratiche e anti-meritocratiche di qualsivoglia tipo al punto che pure la Provvidenza manzoniana risulterebbe inefficace. Se dunque di Provvidenza si parla, si noti come in questa rappresentazione essa non abbia più solamente il ruolo di deus ex machina conferitole da Manzoni, ma quasi più laicamente, sia il mezzo attraverso il quale i giovani effettuano una presa di coscienza delle proprie potenzialità, entrando il quel mondo di certezze che potrà condurli ad una piena realizzazione dei loro sogni, all’affermazione dei propri ideali.
In conclusione si può affermare che quello di Masotti – Zorzi è un riuscitissimo lavoro di svecchiamento di un’opera; una rilettura ben calibrata in chiave attuale e attualizzante dei grandi temi in essa contenuti. Le due giovani registe hanno rispolverato gli aspetti idealistici di riscatto degli oppressi del capolavoro manzoniano, i quali risultano ormai naufragati nei fiumi di inchiostro che hanno portato ad un’impostazione prestabilita nell’ approccio al testo. Attraverso la semplicità, la leggerezza formale, si è resa ancora più accessibile un’opera che era già nata con l’intento di essere tale, conferendole un tono impegnato che può e deve essere di stimolo al pubblico a cui è rivolta. I giovani che hanno preso parte a questa rappresentazione hanno fatto propria la voglia di riscatto nei confronti di una società che sminuisce le loro potenzialità, non crede nei loro valori e si pone con un atteggiamento estremamente critico nei loro confronti. Questi ragazzi si sono posti con grande convinzione su un palco che ha finalmente offerto loro l’opportunità di dare voce alla propria forza interiore, al proprio spirito di rivalsa, dimostrando con grande maturità che l’unione del gruppo attraverso obiettivi comuni, con un minimo di consapevolezza dei propri mezzi, può condurre a grandi risultati.
di Emilio Boaretto