Il Teatro secondo il Maestro Puliero
Recitar sognando, o sognare recitando? L’importante per Roberto Puliero è farlo… però bene!
“Un caffè macchiato, un cappuccino e una coca zero, per favore!” Così, con incredibile naturalezza è iniziata l’intervista a uno dei più grandi interpreti del teatro dialettale (ma non solo, sia chiaro) contemporaneo Veronese: Roberto Puliero.
Dico “incredibile naturalezza” perché troppo, davvero troppo spesso i personaggi considerati “di spessore” espongono perplessità ridicole e richieste assurde quando contattati, anche solo per qualche domanda. Del Maestro Puliero, invece, quello che colpisce fin da subito è la semplicità; quella sincera, però, quella che o si trova nei bambini, o in chi non si è mai stancato, e probabilmente mai si stancherà di vedere nel prossimo sia un nuovo e coinvolgente insegnante, che un attento e curioso alunno.
Maestro, ricordando con piacere i suoi sentiti complimenti al coro voci bianche A.LI.VE., in seguito al concerto su Berto Barbarani tenutosi il dicembre scorso all‘ A.T.E.R. di San Zeno, le chiediamo: Cosa l’ha colpita maggiormente?
Innanzitutto sono rimasto colpito dal Maestro Paolo Facincani e, in particolare, dal suo modo molto vivace di dirigere. Da quel giorno, proprio per questo motivo, mi considero un suo sostenitore. Poi i ragazzi…I ragazzi avevano una disciplina incredibile, ammirabile. Ordinati e compatti. Chi si cimenta nel teatro, o nella musica, deve essere rigoroso e loro, nonostante la giovane età, ci riescono molto bene.
Sul portare al pubblico testi di Berto Barbarani musicati…
L’idea di fare delle canzoni sui testi di Berto Barbarani è una bellissima iniziativa (musiche di E. Zanfretta ndr). Oggi, purtroppo, il dialetto viene considerato quasi solo ed esclusivamente basso e ahimè “grezzo”, quando in realtà non è così. Il Veneto e il Napoletano sono le lingue ufficiali del teatro italiano, non ci possiamo dimenticare di ciò. Hanno una dignità letteraria e poetica che è importante conservare. Accompagnare con la musica la musicalità delle parole di Barbarani può essere davvero una via interessante per riuscirci.
Sul musicalità del dialetto, confronto con quello Napoletano…
Appunto, la musicalità del dialetto permette anche a chi non lo conosce di rimanere estasiato dallo stesso. Ricordo che quando ero bambino nonostante capissi metà degli spettacoli in Napoletano di De Filippo, ne rimanevo comunque ammaliato.
Nel mio lavoro, nel teatro che faccio, cerco la valorizzazione del dialetto non come una lingua folkloristica, giusto da “far ridar”, come direbbe la signora là seduta (indicando un’anziana seduta poco più in là), ma per valorizzarne la straordinaria capacità espressiva.
Noi giovani di A.LI.VE. questo l’abbiamo potuto toccare con mano anche recentemente; facciamo, infatti, parte di un meraviglioso gruppo, il coro giovanile di A.LI.VE. che è arrivato a rappresentare per l’ottava volta lo spettacolo “L’Oste in mezo ale done”, una commedia teatrale in dialetto veronese. Premesso ciò, è ancora possibile, oggigiorno, un teatro dialettale giovanile?
Sì, assolutamente. Però sono fondamentali il tipo e il modo di avvicinamento al dialetto. A svolgere il ruolo principale qui è il maestro, che deve inculcare ai giovani allievi l’idea del dialetto non come una lingua di “serie B”, ma di un linguaggio universale e storicamente importante. Non a caso uno degli autori più rappresentati di sempre è Carlo Goldoni.
Prima di tutto, dato l’imbastardimento del parlato contemporaneo, la cosa giusta per i ragazzi sarebbe quella di insegnare loro correttamente l’italiano e, solo in seguito, spingerli a scoprire altro. Ma questo è un problema inerente alla scuola e le soluzioni sarebbero tanto belli, quanto utopiche dato il momento storico e politico che stiamo vivendo in Italia.
Riguardo invece il rapporto dei giovani col Teatro, non per forza dialettale, sappiamo che ha diversi attori della nostra età nella sua compagnia: come li avvicina alla messa in scena di uno spettacolo, con quale metodologia?
Bisogna innanzitutto far conoscere i testi i più importanti e far comprendere loro che questi si prestano a diverse interpretazioni. Ad esempio, portando la prima scena della “Locandiera” di Carlo Goldoni in una classe di liceo scientifico, ho iniziato subito a far leggere il testo agli interessati, in seguito l’abbiamo letto insieme. Dopodiché hanno iniziato a metterlo in scena e con le mie indicazioni, riguardanti i più svariati aspetti tecnici, quei giovani attori hanno compreso come recitare al meglio le loro battute. Mi è capitato anche di modificare alcune battute, adattandole all’attore, sempre nel pieno rispetto del testo originale, proprio per far comprendere al meglio determinate scene o situazioni. Con la mia compagnia, dato il rapporto che ci lega sul palcoscenico, riesco ad esprimere al meglio ciò che devo spiegare e mi capita di dare nozioni tecniche, anche senza volerlo: il Teatro è anche questo, un meraviglioso modo per andare d’accordo e condurre, in una forma splendida un’armonia umana vivissima.
Quindi i giovani che si approcciano al teatro devono cimentarsi nelle basi, da lì masticare i rudimenti tecnici fondamentali, che si contano sulle dita delle mani, ma che devono essere esercitati.
Esistono realtà formative, che seguono questo metodo, cosa ne pensa dei mille corsi di teatro che si sentono o si leggono sui giornali o sui manifesti?
Purtroppo le realtà di formazione teatrale peccano gravemente di una solida metodologia. Per lo più sono condotte da gente che magari, avendo fatto qualche particina in una compagnia teatrale, si crede in grado di poter insegnare a recitare. Di esempi ne avrei a migliaia, ma non è il caso di elencarli: i ciarlatani sovrabbondano!
Può essere che qualcuno di questi sedicenti insegnanti riesca a dare qualche nozione di tecnica teatrale, ma non c’è solo quella. La tecnica bene o male, la si può insegnare a chiunque, il problema sta nel riuscire a trasmettere l’umanità del recitare. Non va dimenticato che recitare è inizialmente un’azione artistica e per ciò non può essere accessibile a tutti. Avere una buona tecnica, non farà mai di quell’aspirante attore un ottimo attore, se non viene trasmessa e assimilata l’umanità del fare teatro.
Chiunque si può cimentare, ma non tutti possono fare gli attori, anzi meglio se più gente si cimenta, per poi aprirsi ad un nuovo interesse, discuterne e crearsi un pensiero critico.
A tal proposito, cosa pensa della critica teatrale?
Oggi non esiste più critica teatrale. Purtroppo i grandi giornalisti del passato, che recensivano la maggior parte degli spettacoli cittadini, non sono riusciti a passare il testimone a degni parigradi. Mi duole dirlo, ma la pagina degli spettacoli su L’Arena è deprimente e folta di parole inutili, scritte da gente, la cui ignoranza ho io stesso smascherato più volte, anche in televisione. Nonostante ciò è cambiato nulla: rimangono le tristissime righe di commento a quei pochi spettacoli che possono interessare di più il lettore.
Un tempo era differente?
Un tempo c’era gente preparata, con una vastissima cultura e uno spiccato
senso critico. Oggi il vuoto che pervade i nostri giorni, ha colpito anche
questa fetta di cultura, annientando il giornalismo critico.
Ricordo che il giorno dopo di uno spettacolo, quando ero giovane, mi batteva il
cuore all’impazzata andando a comprare L’Arena per leggere la critica allo
spettacolo a cui avevo partecipato. Lo aprivo e tutta la compagnia si ritrova a
leggerlo assieme per parlarne e confrontarsi, cercando sia le dubbie, che le
reali verità che il critico aveva scritto. I critici ci aiutavano a crescere.
Ma come sta il teatro oggi?
Il teatro purtroppo sta molto male. Ha una grande forza in sé, eh, per carità, e probabilmente non morirà mai. I giovani appena ne vengono a contatto si rendono conto della potenza che è in grado di portare. Ma come avvicinarli correttamente a questo mondo? La società, i mezzi di comunicazione di massa non ne parlano mai. Un tempo in televisione c’era l’appuntamento settimanale con le arti sceniche, ora ci sono solo talk show e serie tv interpretate spesso da attori scadenti. Non esiste più una critica teatrale vera e propria, i critici dei giornali fanno ridere, ho più volte smascherato la loro ignoranza. Non esiste un’editoria del teatro…Fino a qualche anno fa esistevano mensili, settimanali sul teatro, ormai quasi non se ne discute…
Non crede che il problema possa riscontrarsi anche in una mancanza di dottrina del teatro?
Esattamente, lo dico tutti i giorni. Quella che realmente manca è l’educazione al teatro. È surreale che a scuola insegnino Dante, Manzoni alla perfezione e Goldoni lo affrontino con una sufficienza terribile. Per par condicio sarebbe giusto che ci fosse un maestro ad insegnare ai ragazzi la messa in scena. Un maestro preparato, però, che abbia le basi per poterlo fare, altrimenti si rischierebbe di passare per teatro quello che in realtà teatro non è.
Conclusa l’intervista ci siamo sentiti particolarmente presi in causa dalle parole del Maestro Puliero. Abbiamo percepito un suo interesse nei nostri confronti e ne siamo rimasti onorati. Roberto Puliero, alla maggior parte dei veronesi è impresso nella mente come comico, affabulatore provetto, appassionato dell’Hellas Verona, ma noi e queste righe di commento all’intervista sono la prova tangibile del fatto che il Maestro Puliero, non è solo questo! Siamo stati a colloquio un’ora buona con un esperto di teatro, di compagnie teatrali, un uomo che, come ha affermato più volte con reale sincerità, non è mai stato disoccupato e che del Teatro ha fatto la sua vita. La gente parla, spesse volte anche troppo, a tal punto da ricordarlo solamente per le sue apparizioni televisive, che non rendono giustizia all’uomo colto e bonario con cui abbiamo parlato tranquillamente un pomeriggio invernale in un bar di Ponte Crencano.
“Recitare è sognare ad occhi aperti” una citazione che ama ripetere e che rispecchia la sua formidabile passione per il Teatro, che, vedendo deturpato dalle modaiole inutilità della vita moderna, difende a spada tratta, accusando quelle persone che hanno le mani sporche e che non sono in grado di maneggiare con cura la candida e fragile magia del teatro, dandola in pasto a giovani o attempati allievi che credono di poterla adoperare con assurda facilità.
Attualmente si contano decine di compagnie, decine di corsi teatrali eppure, da ciò che si evince dalle parole del Maestro Puliero, il Teatro sembra stare male, non essere più quello di una volta. Che questo purtroppo non sia a causa del disinteresse dei media, della mancanza di insegnanti, della poca valorizzazione data allo stesso dal sistema scolastico, più ai primi posti dell’interesse artistico della comunità lo sappiamo. Ma come è stato detto “Il teatro non morirà mai”, quindi forse non ci resta che attendere. Attendere e sperare che da questo periodo di buio, un giorno si possa trovare la luce. Una via luminosa che per mantenersi intatta, secondo noi, dovrebbe sapere tanto di passato e tradizione, quanto di continua sperimentazione e novità.
Noi due non avendo voglia di attendere solamente, stiamo lavorando per apportare linfa vitale e innovazione nel Teatro, creando, sperimentando, nell’assiduo confronto con i mostri sacri del campo e i più limpidi esempi di bellezza drammaturgica. Più che mai crediamo che a Verona ci sia bisogno di giovani impegnati nella ricerca del Bello, manifestandolo nelle sue più svariate forme, anche attraverso la musica e il teatro.
Vogliamo essere un radicale cambiamento e una scossa vivace alla sonnolenza cittadina di questi tempi: noi ci crediamo, sta a voi, cari lettori, il giudizio e la coscienza necessari per approfondire e rendere questi nostri sogni tangibile e meravigliosa realtà.
Due giovani autori,
Achille Facincani e Nicolò Bruno