NEW ORLEANS: LA PAROLA AL MAESTRO LINO PATRUNO

Intervista al Maestro Lino Patruno, una delle figure più importanti del Jazz non solo italiano, ma anche mondiale.

di Michele Marchiori

Come crede che si sia evoluta la scena jazzistica italiana e mondiale dal suo ingresso nel campo musicale, nella metà degli anni ’50, fino ad oggi?

«Buongiorno, inizio con il dire che purtroppo, oggi come oggi, il vero Jazz non esiste più. Il Jazz degno di essere chiamato così è andato via via scomparendo negli anni ’70. Il Jazz vero era quello che suonavo nei locali agli esordi, quello dell’America degli anni ’20. In quel periodo l’Italia era un grande paese, dove il Jazz era valorizzato. Poi, all’inizio del 1960, con la nascita dei Beatles e del rock’n’roll, il Jazz ha perso sempre più valore fino quasi a scomparire. Il Jazz è un genere difficile, molto profondo, non adatto a tutti e comprensibile solo a chi è sensibile ad esso, perché non si può fare Jazz senza sentirlo con il cuore. Con l’arrivo del rock’n’roll il Jazz è iniziato a decadere, dopo il picco massimo che ha avuto negli anni ’40-50, proprio perché il rock’n’roll era più facile: più facile da cantare, più facile da capire, più facile da suonare e tutto questo era accompagnato da un rimbombo mediatico molto grande: i Beatles, o i musicisti di questo nuovo genere musicale, avevano un look innovativo: giacche e maglie a collo alto, capelli pettinati con la frangia o divisi nella metà. Ora sembrano cose normali, ma a quell’epoca erano molto contro corrente, delle vere innovazioni! Qui in Italia prima della nuova moda musicale arrivò la moda stilistica, all’italiana. E qui in Italia, in quel periodo nacquero nuovi cantanti, ispirati proprio da questa nuova musica».

C’é un episodio che vuole raccontare della sua carriera?

«Io mi diplomai geometra, solo per volere di mio padre, perché a me poco interessava, avevo già chiaro in mente che la musica sarebbe dovuta essere la mia vita, così, dopo il diploma, iniziai a suonare in alcuni locali e lì fui notato, e, dato il mio diploma come geometra, fui chiamato a lavorare in una casa discografica, diretta da Remigio Paone, mio caro amico. Proprio in questa casa discografica, un giorno, facemmo dei casting e si presentarono da noi due ragazzi, romani. Uno solo dei due però sostenne il provino, l’altro rimase fuori. Finito il provino uscì e vidi questo giovane che strimpellava e canticchiava con la chitarra. Gli chiesi se era anche lui lì per un provino ma mi disse di no, che non gli importava fare provini o il mondo della musica. Per me fu però impossibile non notare la sua somiglianza con Elvis, così glielo dissi. «Ehi, ma lo sai che assomigli proprio a Elvis?»«Certo! Io ascolto solo lui!» «Allora che ne dici di fare un provino?»«No no, non voglio, non fa per me..» Insomma, era fermo sulla sua posizione, ma trovai il modo di convincerlo. «Senti, perché non vieni dentro e ci canti qualche pezzo di Presley?» «Beh, se è per Elvis va bene..» Io e Remigio lo sentimmo e ci fu chiaro da subito che il ragazzo aveva un gran potenziale.. «Come ti chiami?»«Roberto Satti» Credevamo molto in quel giovane, così pubblicammo il suo primo 45 giri. L’anno dopo, nel 1964, come ogni anno, ci fu Sanremo, e quale occasione migliore per far conoscere un giovane artista? Così iniziammo a pensare alla sua partecipazione, ma quel nome… non aveva nulla che potesse attirare, non colpiva, così Remigio, camminando su e giù per la stanza, ebbe l’ispirazione: «No, Roberto non funziona.. Dobbiamo trovagli un nome americano…sentite…chiamiamolo Bobby, Bobby Solo [solo stava ad indicare solamente Bobby, ma poi rimase nel nome dell’artista ndr]», e così nacque Bobby Solo.  Io però, ci tengo a precisarlo, non mi occupo solo di musica, ma anche di cinema, di teatro, e di cabaret. Con alcuni miei cari amici ho fondato il vero cabaret, con i Gufi; e il cinema è una mia grandissima passione, tant’è che sono giurato del David di Donatello, ed è una passione che contrappongo alla televisione. Purtroppo oggi non esiste la televisione, esiste la TV, che è una cosa inutile. Oggi si vedono solo starlette, raccomandati e incapaci, messi lì solo per conoscenza, ma questa è una cosa terribile! La televisione, come qualsiasi altra cosa, va fatta da gente competente, non solo da chi è raccomandato! La vera televisione era quella di una volta, non quella di adesso con programmi inutili che trattano solo di gossip, di moda, di questo che si è messo con quella o quant’altro, di politici che sono ovunque oramai, che trattano di tutto e dicono le peggio menzogne ma non spendono mai, e dico mai, una parola per la cultura, per i giovani, per l’arte, per la musica! E lo sai perché? perché anche loro sono raccomandati e incapaci, sono proprio dei mascalzoni che ci stanno mandando a rotoli! La televisione vera era quella di una volta.. Io ad esempio facevo Portobello, assieme ad Enzo Tortora, che è stato, da solo, precursore di molto altri programmi, che non sono altro che proiezioni delle rubriche presenti all’interno di Portobello. Ora quella televisione non esiste più. Scusami Michele, io a casa ho quarantamila dischi, dei quali ventimila non ho mai sentito, e diecimila film, dei quali cinquemila non ho mai visto, dimmi, perché dovrei guardare quelle cose brutte quando ho così tanto da ascoltare e vedere nelle mie collezioni? Io ho vissuto delle esperienze incredibili, ho suonato con alcuni tra i più grandi artisti, Charlie Parker, un sassofonista, precisamente suonava l’alto sax, Dizzy Gillespie e Miles Davis, due trombettisti, ho suonato in alcune tra le band più importanti della storia, tra cui la ”Windy City Stompers” e la ”Riverside Jazz Band”, e ho conosciuto alcuni tra i più grandi artisti come Louis Armstrong, assieme al quale ho suonato, o Billie Holiday, che ho avuto modo di ammirare in un’esibizione al Teatro Manzoni di Milano, dove capì quanto il pubblico italiano possa essere rozzo. Una delle più grandi artiste del jazz era sul palco, e il pubblico la fischiava e l’ha praticamente sbattuta fuori a calci, e artisti italiani come Luigi Tenco, Wanda Osiris, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, al quale ho insegnato a suonare la chitarra dopo che lui mi sostituì in una band, Fabrizio de Andrè, mio caro amico, Lucio Dalla o Mina.. E dire questi nomi comparati ai nomi che ci sono oggi mi fa capire quanto purtroppo stiamo andando in basso, purtroppo, per concludere, il Jazz vero non c’è quasi più».

Come crede che dei giovani con voglia di stupire come noi dovrebbero essere aiutati e valorizzati? Tornerà a collaborare con A.Li.Ve?

«Considerando che i politici non fanno ne faranno mai nulla, credo che il maggiore incitamento e insegnamento debba arrivare dalla famiglia. Circa due anni fa mi scrisse un ragazzo, proveniente da un paesino sperduto della Calabria, Luca Filastro, e mi mandò un video. Io, che rispetto la gente che mi scrive lo guardo, e alla fine del video facevo salti come fossi un bambino. Questo ragazzo ha girato un video, ben montato e tra le altre,  si è presentato davanti alla telecamera con cravatta e giacca, e ha iniziato a suonare un pezzo, beh, credimi, era una cosa pazzesca. Mi domandavo, ma come fa questo ragazzo a saper suonare così bene e a sembrare un vero jazzista? La risposta era semplice, per quanto poi ragazzi così siano casi che capitano una volta su un milione, questo ragazzo era stato cresciuto a pane e musica, musica vera, perché i genitori avevano dischi di Jelly Roll, Billie Holiday e grandi nomi, che avevano fatto crescere questo ragazzo in quel modo. Questo ragazzo ora studia al Conservatorio di Roma, lavora con me e gira ogni sera un locale diverso. Credo quindi che non ci sia un miglior insegnante e aiutante che la propria famiglia».

da archivio ALIVE NEWS – 2 luglio 2013