LA PRIMAVERA DEL TEATRO ALIVINO pt.2

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Letterature europee, drammaturgie e la nuova era del teatro.

Continua la nostra intervista alle due maestre di teatro Silvia Masotti e Camilla Zorzi.

Russia, Italia, Germania, Grecia e Austria: i soggetti delle nuove produzioni toccano ogni angolo d’Europa e diversi periodi storici, dall’egemonia ellenica, al Settecento, passando per i movimentati anni 1960, arrivando al nostro secolo. Si può trovare un fil rouge tra le vostre scelte?

È stato un caso, ma ci siamo accorte che i lavori dei tre gruppi più grandi hanno a che vedere con la storia, la storia culturale: il gruppo del giovedì prepara un lavoro sulla Telemachia, che non è la storia di Ulisse, ma di Telemaco che si mette alla ricerca di suo padre. È una storia riattualizzata, in quanto molti elementi sono stati creati a partire dagli allievi: Telemaco ripercorre le tappe del padre e ricerca un’eredità, un elemento di cui non si parla molto in questo periodo storico, anche se ce ne sarebbe un bisogno impellente. Il teatro è un’arte antica, quindi permette non solo di andare indietro nel tempo, ma anche di recuperare dei valori e dei percorsi umani che si erano dimenticati.

Il lavoro delle ragazze del venerdì riguarda un fatto più storico: il diritto del lavoro femminile dagli anni ’50 all’oggi. Negli anni ’50 i diritti non c’erano o non erano riconosciuti, negli anni ’70 si vive un momento di rivoluzione ed oggi si è arrivate a domandarci “stiamo andando avanti o ci siamo dimenticati dell’importanza di alcune cose?”. Parleranno del mondo di oggi partendo dalla consapevolezza di ieri.

Anche Il Gabbiano è un testo che ha a che fare con la storia: la storia del teatro, che non è più oggetto di studio, infatti nessuno dei ragazzi aveva letto il testo prima o conosceva Cechov, che è stato uno dei più grandi autori teatrali della storia. Se un ragazzo vuole intraprendere una carriera artistica, si dovrà confrontare con questo drammaturgo. Questo lavoro è il primo passaggio verso un testo prettamente teatrale e un recupero della storia del teatro, anche perché in questa storia di teatro c’è la storia dell’uomo, Cechov è un precursore della psicanalisi del ‘900: rapporto storico con il passato.

Il vostro amore per la letteratura è risaputo; ma quest’anno, per la prima volta, i ragazzi più grandi si confronteranno con il testo teatrale quasi integrale de Il Gabbiano di Anton Cechov e il gruppo delle ragazze più grandi dedicherà una parte dello spettacolo ad un lavoro di Stefano Massini, 7 Minuti. Quali sono le principali differenze tra un adattamento di un romanzo e una riduzione di un’opera teatrale? Come reagiscono gli allievi alla preparazione di uno e dell’altro?

Paradossalmente, il testo letterario offre molto più materiale, perché ci sono tutte le parti narrative, sulle quali si possono fare delle scelte: narrazione interna, quando un personaggio racconta sé stesso, o narrazione esterna, quando il narratore racconta i pezzi di trama. Questi procedimenti facilitano la comprensione del pubblico, ma anche la recitazione: è più facile recitare in terza persona su un testo letterario perché nel testo ci sono tutti gli elementi. La drammaturgia non dà queste informazioni, quindi il lavoro è lasciato all’attore che ha molta più responsabilità creativa di riempire i vuoti che non vengono esplicati perché c’è solo la battuta, non c’è scritta l’azione o la reazione del personaggio, mentre in un romanzo tutto viene descritto.

La scrittura narrativa è analitica e la scrittura drammaturgica è sintetica. Abbiamo deciso di proporre ai nostri allievi più grandi questo tipo di testo dopo molti anni di lavoro insieme, perché richiede una certa maturità, in quanto tutto quello che non c’è scritto va comunque portato in scena. Il lavoro sulla drammaturgia lo avevamo in mente da anni, perché facendo un corso di teatro non si può non affrontare una drammaturgia, c’è bisogno di un gruppo strutturato che renda il lavoro raggiungibile per i ragazzi che lo fanno.

Un elemento che ci rappresenta è che i testi che scriviamo partono sempre da opere letterarie di valore culturale: che sia letteratura, storia del teatro, o epica, ci appoggiamo sempre a degli autori. Quando ci si confronta con dei testi alti ci si porta a casa qualcosa, non solo a livello attorale, ma l’esperienza umana è di tutti. Se il testo lo scriviamo a partire unicamente da una nostra idea non ha quella grandezza.

Vi siete diplomate più di dieci anni fa alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, avete calcato numerosi palchi in tutta Italia e all’estero, ma da un paio d’anni avete deciso di appendere la “maschera” al chiodo per occuparvi delle nuove generazioni. Com’è cambiato il modo di apprendere e comprendere il teatro?

È cambiato radicalmente. Quando noi andavamo al liceo, si parlava dei grandi autori di teatro, si leggeva teatro, si vedevano gli sceneggiati alla TV o si aveva l’abbonamento a teatro: tutti ne avevamo una comprensione; il teatro aveva un valore sociale molto più riconosciuto e ci metteva a confronto con la tradizione. Per noi era più difficile affrontare dei testi come quello di Cechov, per esempio, perché avevamo la consapevolezza di metterci a confronto con grandi attori e attrici che l’avevano fatto prima di noi. Ora non c’è più quest’ansia da prestazione.

Secondo noi il teatro è uno di quelli spazi che ha tanto risentito dell’ondata virtuale. Quando avevamo 18 anni, la nostra passione era legata anche ad un bisogno di dire delle cose, di trovare un confronto con gli altri. Ora i giovani sfogano le loro velleità artistiche su YouTube, hanno l’illusione di essere in contatto con coetanei sui gruppi social; per tanti di noi, all’epoca, il teatro è stato la risposta.

Tuttavia, abbiamo notato che i nostri giovani allievi hanno una fame di conoscenza più grande della nostra, perché alla nostra generazione era stato dato di più. Hanno come una forma di deprivazione di certi strumenti umani, perché effettivamente non vengono più trasmessi. Sentiamo che le nuove generazioni hanno un desiderio di arte, intesa come riscoperta dell’essere umano. C’è una necessità, una forza, un’emozione che tanti allievi riescono ad incanalare attraverso questo strumento, che non c’è solo anestesia, forse c’è un vuoto, e quindi un grande desiderio.

di Linda Micheletti

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